Luigi Galleani. L’anarchico più pericoloso d’America

Mancava, nell’ormai vasto panorama di ricerche sulla storia del movimento anarchico italiano, uno studio recente su una delle sue figure preminenti: Luigi Galleani.

C’era sì la biografia scritta da Ugo Fedeli, uscita nel lontano 1956 (L’Antistato, Cesena) e ristampata nel 1984 (Centrolibri, Catania), ma tale scritto – pur essendo ancor oggi di gradevole lettura – ha diversi limiti. Primo fra tutti quello temporale, essendo stato redatto nel secondo dopoguerra, epoca in cui non era agevole la consultazione di molte fonti archivistiche oggi accessibili. In secondo luogo, Fedeli era un militante che non aveva una formazione storica quindi, pur avendo scritto pregevoli biografie (Gavilli, Damiani, Ciancabilla, Fabbri), era animato da un intento agiografico e propagandistico che gli impediva di dare ai suoi testi quel respiro storico più ampio che permette di inserire il biografato nella temperie del proprio tempo e nella storia generale.

Merito di Senta, che – ricordiamo – è biografo di Fedeli (e ordinatore del suo sterminato archivio, oggi ad Amsterdam), è quello di aver colmato molte di queste lacune.

Galleani, pur essendo un personaggio noto e abbastanza conosciuto nella storia dell’anarchismo, è stato a mio parere molto equivocato. Com’è noto egli era un antiorganizzatore, cioè rifiutava la scelta di un’organizzazione formale preferendo i rapporti diretti fra gruppi e individui, ma ciò non significa assolutamente che fosse contrario a ogni forma organizzativa. Il movimento, di cui fu l’ispiratore negli Stati Uniti d’inizio secolo fino alla sua deportazione in Italia nel 1919, a dispetto della definizione, era molto “organizzato”: si stampavano giornali (tra cui primeggia per qualità e longevità – dal 1903 al 1919 quando fu soppressa dalle autorità – la Cronaca Sovversiva diretta dal nostro), si editavano libri e opuscoli, veniva dato ampio spazio alla convivialità (feste, pic-nic, teatro, concerti), i militanti erano presenti nelle varie lotte sociali e non si tiravano indietro quando bisognava rispondere alla repressione armi alla mano. Chi ha letto “Ribelli in paradiso” di Paul Avrich sa quanto questo movimento desse fastidio al governo degli USA che cercò in tutti i modi di distruggerlo: prima con le deportazioni in Italia (in primis Galleani) e poi con la montatura del caso di Sacco e Vanzetti che fu di fatto il colpo di grazia. Il movimento (con la sua nuova testata, sorta nel 1923, L’Adunata dei Refrattari) sopravvisse fino agli anni Settanta ma fu altra cosa, perse la sua grande vivacità, non ebbe più la capacità di attrarre tra le sue file gli immigrati italiani e quindi non fu più in grado di rinnovarsi e riprodursi. Anche sul piano teorico fu altra cosa rispetto all’epoca di Galleani: più chiuso in sé stesso, più rigido ideologicamente, meno aperto alla società.

Merito di Senta è quello di aver riportato in luce il pensiero autentico di Galleani (spesso confuso a torto con quello dei suoi amici in epoche posteriori), la sua notevole intelligenza politica e la capacità di comprendere il suo tempo e il mondo che lo circondava. Non a caso nel libro è messa in evidenza la grande sintonia (oltre che la grande stima reciproca) tra lui ed Errico Malatesta. Spesso condussero le stesse battaglie su sponde diverse dell’Atlantico, uno in Europa e l’altro in America. Galleani non fu un pensatore nel senso rigido del termine, fu soprattutto un uomo d’azione (si potrebbe dire – senza temere l’ossimoro – un organizzatore) ma fu al tempo stesso un uomo colto e intellettualmente preparato, attento alle idee della sua epoca, che sviluppò anche una propria originalità di pensiero.

L’esistenza di Gigi anarchico si svolge in tre fasi e in due continenti; il primo periodo europeo (giovinezza), con una parentesi nordafricana, il secondo americano (maturità), e il terzo in Italia (vecchiaia), dove riedita la Cronaca Sovversiva per circa un anno, fino a quando il giornale viene nuovamente soppresso dalla repressione, per morire infine – ex coatto dell’Italia umbertina – al confino fascista. In ognuna di queste fasi matura un Galleani diverso e interessante. Ulteriore merito di Senta è quello di farcelo conoscere.

Ovviamente questo lavoro, anche se promettente, è solo un inizio. Su Galleani c’è ancora molto da scoprire. Questo studio si è avvalso (oltre al notevole materiale già raccolto da Fedeli per la sua biografia e a quello di altri fondi anarchici sempre conservati all’Istituto di Storia sociale di Amsterdam) di documenti tratti da vari archivi italiani, ma purtroppo manca una ricerca sul campo principale, gli Stati Uniti, cui l’autore – per mancanza di adeguati finanziamenti – non ha potuto accedere direttamente. E gli archivi americani sicuramente racchiudono altri segreti su Galleani.

Tobia Imperato

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